BELLEZZA ALL’ALBA (2) – Sulla vetta dell’isola d’Ischia: il monte Epomeo

11 agosto 2018

Nella prima di queste passeggiate all’alba eravamo andati alla baia di Ieranto, una piccolissima spiaggia all’estremità sud del golfo d Napoli. Stamattina andiamo a nord, all’altra estremità dello stesso golfo, e non andiamo in spiaggia ma su una vetta, piccolissima pure: a Ischia, sul monte Epomeo.

Se a Ieranto c’è chi dice che vivessero le Sirene, l’Epomeo è la punta di un vulcano sommerso. Ma non un vulcano qualunque. Secondo i greci antichi qui sotto c’è imprigionato Tifeo, l’unico essere che sia riuscito a catturare Zeus, il padre di tutti gli dei.

E poi le vette hanno un fascino forte e i vulcani sono posti potenti. Il suo nome sembra che derivi dalla parola epopào = luogo dal quale si vede intorno: in sostanza il panorama, arrivati in cima, non dovrebbe mancare. Allora se siete disposti a svegliarvi presto pure stamattina, diciamo poco dopo le cinque, quando appena appena il cielo si sta facendo chiaro, iniziamo.

C’è ancora mezza luna sospesa in alto, sopra al balcone della casa da cui scendiamo, e un accenno di alba sullo sfondo della luce di lampadina della casa di fronte.

Siamo a Fontana, il Comune più alto dell’isola d’Ischia: è da qui, proprio dalla piazza principale, che parte la stradina (poi diventa, più sopra, sentiero) che porta, in meno di un’ora, sulla vetta dell’isola.

All’inizio, adesso, si sale ripidi su una piccola strada asfaltata, via dell’Epomeo, a doppio senso, dove una macchina sola ci passa solo se stai molto attento. La salita in totale non è molta: tre chilometri; il dislivello per arrivare ai 789 della vetta, circa quattrocento metri.

Dopo un po’ incrociamo un’altra strada, sempre asfaltata, più larga, viene sempre da Fontana ma un po’ più in basso della piazza del paese, le due possibilità di salita qui diventano una quindi non vi preoccupate, non dovete girare da nessuna parte, dovete solo continuare in salita.

A destra e a sinistra fino ad ora c’erano case costruite una azzeccata azzeccata all’altra, adesso si allargano a ville. Qua sopra l’aria è fresca, e non solo adesso che è mattina presto: rispetto a giù, a uno qualunque dei Comuni a livello mare di quest’isola, ci saranno almeno cinque gradi in più di fresco e di calura in meno.

Saliamo piano, con calma, proviamo a seguire lo stesso ritmo della luce che non aumenta molto, mantiene solo in cielo delle striature di rosa leggere.

Quando passiamo vicino, sopra, a una di queste case, parte da dentro al giardino come un suono di galoppo attutito: attratto dal fruscio vedo con l’angolo dell’occhio la corsa del cane della villa sotto. Hmmm, se abbaiava era meglio, sta solo correndo, senza fiatare, non mi pare un segno buono. Vabbuo’ verimme che succere, se il cancello è aperto, se arriva fino a qua e cu’ quale genio.

Lui nel frattempo è un movimento rapido, il galoppo sul terreno mo è un graffiare di zampe sull’asfalto liscio: ci raggiunge correndo, ci supera, arriva al bordo della strada, fa na specie di giravolta e ci ritorna incontro, si solleva in corsa e me mette e zampe ncuollo a modo di saluto.

Fiuuuu, tutt’a posto. Se siete curiosi lo vedete nelle foto: è un bel cane, rosso fulvo, abbastanza grosso, tiene collare e tutto; adesso noi camminiamo e lui insieme a noi avanti qualche metro.

Tutto sembra andare per il verso giusto, tanto che adesso un cartello già dice che i chilometri non sono più tre ma soltanto uno e mezzo. Non sappiamo se crederci, ci sembra troppo presto ma forse l’alba ci aiuta ed è vero che abbiamo già camminato metà percorso.

Il cane nostro continua a seguirci, evidentemente aveva molta voglia di camminare stamattina e, appena sveglio, il primo che passa, si sarà detto, lo abbraccio e lo seguo fino in capo al mondo. Ogni tanto, cioè quasi sempre, va avanti, però poi si ferma e ci aspetta; se non ci vede arrivare gira indietro la testa. Poi appena siamo a tiro riprende il trotto, annusa qua e là l’erba ai bordi della strada, qualche volta marca il territorio e la umidifica un poco.

Andiamo più avanti e incontra qualche amico. Il paese è piccolo, sono quattro gatti, qua si conoscono tutti ed evidentemente, dal fatto che non abbaiano per niente, si capisce che pure i cani molti non sono.

Arriviamo ad un altro bivio, andando a destra si arriverebbe dopo poco ad una postazione militare e non si potrebbe proseguire oltre, a sinistra invece si sale verso la cima del monte. Proprio al bivio, in mezzo a queste due scelte, c’è il primo punto di ristoro di questa camminata, però è ancora troppo presto e quindi il caffè se non ve lo siete già preso a casa non c’è altro modo.

Proprio sotto l’insegna del bar c’è una vecchia foto con un uomo su un asino e la vetta della montagna sullo sfondo. Fino ad un po’ di anni fa si saliva col ciuccio: trovavate dei contadini, d’estate, che vi chiedevano se per caso non avevate voglia di salire comodi, e mentre voi stavate in sella magari loro pure, accompagnandovi, si tenevano alla coda per non stancarsi troppo.

Oggi gli asini non ci sono, però credo che se chiedete potete salire a cavallo. Salendo ancora qualche minuto infatti passiamo davanti ad un altro punto di ristoro: a destra c’è la casa, e fuori, anche adesso che è chiuso, c’è un cestino dal quale potete prendere in prestito un bastone per fare la salita. L’unica cosa che vi viene chiesta è di restituirlo a missione finita. Di fronte, sul lato sinistro della strada, oltre un cancello di legno si intravedono le stalle. Sulla parete di tufo verde hanno intagliato a bassorilievo la testa di un cavallo.

La strada, di cemento, comincia a farsi un po’ più stretta e dissestata, sono le fasi successive per trasformarsi poi in sentiero. La vegetazione si fa sempre più vicina e fitta.

Sulla destra un altro punto di sosta, sembra un rifugio alpino per le linee del tetto e i tronchi interi usati per costruirlo. A fianco, per completare il paesaggio di alta montagna, ci hanno piantato pure tre abeti.

Finalmente finisce il cemento, da qui in poi si cammina nel bosco, sul tufo polverizzato sceso dalle pareti di roccia verde di lato.

Dopo poco c’è un bivio nel sentiero; strano che non sia segnalato da nessuna indicazione. Il nostro cane è andato a sinistra e ci sta aspettando, a destra di sicuro si va sulla vetta; però a pensarci se non c’è un cartello e se il cane va dall’altro lato, forse semplicemente o sinistra o destra poi ci si ricongiunge sullo stesso percorso. E allora andiamo appresso al cane.

Di sicuro questo lato è più panoramico, si apre una grande vista sul mare dall’alto.

Sull’acqua c’è la striscia rosa che il sole fa sul mare a quest’ora. Ma no, no; guardando meglio è l’ombra di una grossa nuvola bianca verticale, colorata dal sole che oggi qua ha deciso di giocare di sponda.

Le felci delimitano il bordo del sentiero. A destra invece è un bosco di castagni. Compare pure la Pietra dell’Acqua, proprio davanti in fondo. I due bracci camminano paralleli, poi però ci pare che si inizia a girare troppo distante: la cartina dei sentieri l’abbiamo lasciata a casa, in giro qua sopra non c’è a chi chiedere, forse ci conviene ritornare indietro. Sì, ritorniamo sui nostri passi, ancora segnati nella polvere di tufo. Il cane escursionista ci segue pure.

Torniamo al bivio e prendiamo l’altro sentiero. Qui il percorso diventa sempre più bello: è un tappeto giallo-verde chiaro, scavato dai piedi, dagli zoccoli dei muli e dall’acqua di ogni pioggia dell’anno. Ai lati è abbracciato dal verde del muschio e delle piante che cresce sulla roccia di tufo, verde, non gialla: è il segno distintivo, il vezzo di indipendenza di quest’isola per ricordarci che non siamo a Napoli centro, che qui il mare bagna di sicuro il posto perché in questo posto quella roccia vulcanica che nasce gialla poi, stando immersa per secoli, ha cambiato colore.

A tratti sotto i vostri piedi potete trovare addirittura dei piccoli gradini bassi, scavati dai contadini dell’isola per evitare di scivolare con la pioggia a chi ha due zampe o quattro. Le pareti sono vicine, alte, tolgono un poco di luce ma aumentano l’abbraccio del bosco.

Dopo una svolta ecco il tratto finale: la vetta si intravede a qualche centinaio di metri in alto in fondo, e adesso si cammina come fareste su uno scoglio, non c’è più polvere di tufo ma una roccia grossa uniforme compatta, sempre coi solchi di chi ci passa da secoli: siamo su un largo monolite asciutto.

Tre cartelli dei sentieri ci informano che da qui è possibile andare a piedi fino a Forio, o a Santa Maria al Monte; che da Fontana finora sarebbero dovuti passare circa 40 minuti e che alla vetta finale di minuti ne mancano cinque.

Da qui il sentiero diventa a tratti molto stretto: è un canale di acqua dove i piedi non c’entrano uno a fianco all’altro, ma se dovete camminare il prossimo piede tanto lo dovete mettere avanti.

Sulla destra una porta di legno, pure questa ancora chiusa, porterebbe al bar ristorante che sta proprio in vetta. Il sentiero comunque sale anche senza passarci dentro.

C’è ancora una cosa curiosa prima della punta. Un campanile imita, appena sotto, uno spuntone di roccia. È la chiesa di San Nicola, ha soltanto la piccola facciata costruita, tutto il resto è scavato nella tufo, sta qua già da prima del 1459.

Ci affacciamo dai vetri della porta: il pavimento è bellissimo di riggiole consumate dai passi. Dello stesso identico verde di tutta quest’isola: è come se lo avessero preso da qui per dipingerla tutta. Dentro i banchi sono talmente semplici che sono diventati sedie di legno. Qui su si era venuto a ritirare un uomo d’armi, il reggitore del presidio militare dell’isola Giuseppe d’Argouth, nel ‘700. Era scampato a un agguato vicino a questa vetta e tenne fede al voto fatto per salvarsi di restare qui da vivo visto che non c’era morto. Le celle del monastero stanno dietro la porta a sinistra guardando l’ingresso della chiesa. Fino a qualche anno fa potevate dormirci. Ora sembra che quelle piccole stanze ricavate dentro il cuore del monte siano chiuse, aspettando una nuova gestione. Se siete fortunati però e ci capitate nei giorni in cui ragazzi del servizio civile le tengono aperte, potete almeno visitarle, insieme alla chiesa. Il bar più sopra, proprio vicino alla cima, invece funziona, ma solo se non ci andate come noi di notte.

Continuiamo a salire, ormai manca proprio poco. Ecco spuntare da un’altra recinzione di campagna un nuovo compagno a quattro zampe. Sembra la copia un po’ più anziana del nostro: stessa taglia, colore, solo non ha collare, è un po’ più sporco e quando camminate non si sposta davanti.

Comune di Serrara Fontana: Attenzione pericolo di caduta per fondo sconnesso e sdrucciolevole ricorda il cartello nuovissimo poco prima degli ultimi metri. Ci affacciamo sull’ultimissimo tratto ed ecco un’altra sorpresa buona: una balaustra protegge l’unico pezzetto che era un poco rischioso di tutto questo tragitto. Si sale una scalinata corta di scalini intagliati, scansando i cani che si fermano davanti e siamo, adesso, davvero arrivati.

Siamo sulla vetta, in piedi dentro un metro quadrato scavato, con le panchine naturali e il parapetto, tutto di tufo. Praticamente siete su quel piccolissimo cocuzzolo che vedete pure da Napoli, quella punta che in fondo al panorama segna con la sua sagoma precisa il fatto che quella è Ischia, l’isola lontana grande. Lo si vede da molte parti della città, adesso ci siete seduti sopra.

A pensarlo che è così piccolo viene un poco di paura. Si sta seduti su una specie di vertigine, forse perché dovunque ti giri il panorama comincia a pochi centimetri, massimo un metro: fa un gradino in basso lungo un piccolissimo spicchio di vigne, un secondo sopra un grande bosco e poi sprofonda vuoto verso la costa.

Le case da qui si vedono solo in fondo. Qui su venivano per rifugiarsi dalle incursioni dei saraceni; mo che i pirati stanno soprattutto in alto loco, le case sono scese vicinissime al mare.

Affanna con la lingua da fuori, a un certo punto respira molto veloce, forse si è addormentato e sta sognando, il nostro accompagnatore di questa escursione. Ma appena faccio un mezzo movimento che somiglia a uno che si sta alzando lui si sveglia all’istante, apre gli occhi ed è pronto a scendere. Ma io mi stavo solo muovendo, sì in realtà avevo pensato di scendere ma come si fa ad andarsene da qui così presto? Restiamo ancora a guardare lontano. Stamattina ci sono un po’ di nuvole in giro altrimenti si vedrebbero Ponza e Ventotene. Di sicuro si vede quasi il cento per cento della costa dell’isola: Lacco Ameno è facile da riconoscere perché ci sta il fungo, Casamicciola quindi è quella a destra a fianco, se ne vede giusto il braccio del pontile esterno. Forio con la chiesa del Soccorso. Poi c’è tutto il lato che guarda verso il continente: Procida sta qua sotto, Monte di Procida nella foschia in fondo.

Si sta freschi in questa sedia altissima; seduti in bilico sulla vetta del mondo.

Ora iniziamo a scendere. La luna si vede ancora ma senza bagliore. Adesso è il turno del sole e noi torniamo nel mondo più in basso. Con la nuova luce ci accorgiamo che i ricci delle castagne stanno già sui rami, che pure capperi e more crescono lungo il bordo del percorso.

Se state in vacanza a Ischia, avete voglia di un po’ di fresco e di guardarvi intorno, bastano un paio di scarpe da ginnastica e fare il primo passo, poi questo sentiero vi condurrà da solo.

Se poi volete sapere la fine della storia: il cane ci ha accompagnato anche per tutto il ritorno. Ci ha aspettato fino al punto esatto in cui stamattina ci aveva rincorso.

Testo e foto Francesco Paolo Busco (tutti i diritti riservati)