INCONTRI – L’aquila reale in Cilento e la Carta della Terra

Qualche giorno fa ho chiesto di poter intervistare per telefono Mario Kalby, un ornitologo salernitano che si occupa, tra l’altro, da oltre vent’anni, di due coppie di aquile reali che nidificano in Campania, una sui monti Picentini una sul monte Cervati, in Cilento.

Avevo visto questo signore in un piccolo documentario che si trova in rete e che racconta di un curioso avvenimento di diversi anni fa.

A Piaggine, nel 1971, un bell’esempio

Nel 1971, a Piaggine, in provincia di Salerno, era accaduto un evento singolare. In una trappola che avevano piazzato per catturare il lupo, dopo qualche giorno, andando a controllare, trovano impigliata una giovane aquila reale. Un animale molto bello, due metri e mezzo di apertura alare, che fortunatamente non ha subito gravi danni.

La portano in Comune, a curarla è il medico del paese, come gli altri cristiani, perché di veterinari non ce ne stanno. Poi per un po’ di tempo la tengono in una stanza dentro al Municipio.

I bambini delle scuole cominciano, in fila indiana, dietro le maestre, ad andarla a trovare. Da tutta Italia altre scolaresche iniziano a scrivere per conoscere particolari. Perché si erano mosse la stampa e la televisione nazionali.

Mi racconta Kalby che al Comune ricevettero parecchie richieste da zoo e altri che volevano comprarla.

A Piaggine però fecero la scelta giusta, e tieni conto che in quel momento in Italia quel tipo di animale era ritenuto nocivo, perché attacca anche animali allevati dall’uomo, e allora se lo avessero venduto oppure ucciso non sarebbe stato reato. Invece loro decisero saggiamente di liberarlo.

Monte Cervati, i territori di caccia dell’aquila reale. (Foto M. Kalby)

Oggi che lo sfruttamento, con gli allevamenti intensivi di animali, è una delle probabili cause del problema che stiamo vivendo, questa lezione: dopo aver commesso un errore, di prendersi cura di un animale e poi capire che la cosa migliore da fare è semplicemente liberarlo, credo sia un bell’esempio.

Forse è anche che in questi giorni, in cui da un mammifero volante abbastanza piccolo, che va in giro di notte, a furia di maltrattarlo, abbiamo ricevuto una bella mazzata che è anche un fortissimo stimolo ad evolverci, mi è venuto in mente di chiedere a un rapace enorme, che vola altissimo in pieno giorno e che i greci ritenevano l’immagine di Zeus, qualche consiglio, oppure semplicemente qualche immagine dall’alto, ariosa, di libertà, per far respirare il cervello.

L’aquila è un animale molto fedele, forma per tutta la vita una coppia stabile, mi racconta Kalby.

Non solo, ma devi sapere che esistono -per esempio vicino Roma sono documentati- dei nidi di aquila antichissimi, di secoli, forse di millenni. I romani antichi, dell’epoca dell’Impero, avevano come sappiamo il culto dell’aquila come simbolo, e allora andavano in cerca di nidi per prendere i piccoli magari ed allevarli, per questo ci hanno tramandato tracce scritte dell’esistenza di nidi in zone dove abbiamo riscontrato che ancora esistono.

Questi rapaci scelgono una valle che abbia una parte di bosco ma anche zone senza alberi perché per volare sulla preda hanno bisogno di spazio aperto: una zona di caccia di circa trenta chilometri quadrati. In quest’area costruiscono il nido, e lo usano per anni. Poi se magari sorge qualche disturbo, creano un altro nido in un altro punto ma senza abbandonare quella valle.

Sono molto sensibili alle presenze estranee.

Per esempio quando vado sul campo, specie nel periodo in cui sono nati i nuovi piccoli, anche se sto, per dirti, a ottocento metri (sì, ottocento) dal nido col binocolo a osservarli, i genitori iniziano a volare sopra di me per capire chi sono, che cosa voglio fare. A volte pure se sto fermo, seduto, una volta che mi sono assicurato che i piccoli stanno bene, mi allontano spontaneamente per smettere di disturbare.

Ogni anno verso febbraio, nel periodo dell’accoppiamento, eseguono un volo caratteristico, “a festoni”, con delle specie di acrobazie in volo. Poi quando nasce il piccolo, spesso sono due ma solo uno sopravvive, la femmina sta tutto il giorno ad accudirlo. Nel frattempo il maschio va a cacciare in alto. Il nido sta sempre più in basso del luogo di caccia, così è più facile riportare in volo, in discesa, prede pesanti.

Dopo alcuni mesi, quando il piccolo ha raggiunto una certa autonomia, gli adulti non si avvicinano che per un attimo a portargli il cibo, per il resto del tempo restano un po’ a distanza per evitare di svelare, con la loro presenza, la posizione precisa del nido.

Il giovane individuo lascia il nido a fine luglio e verso dicembre, diventato abbastanza indipendente, vola definitivamente via.

Alcuni anni fa un esemplare ferito venne trovato nelle Marche. Gli fu messo un anello per riconoscerlo. Così hanno scoperto che se n’è andato in giro per tutto il centro Italia e anche sulle Alpi. Verso i sette anni, quando diventano adulti e formano una coppia, ritornano istintivamente in qualche altra valle nelle stesse zone dove sono nati.

È come se andassero un po’ in giro per il mondo, in un viaggio di formazione, per tornare nella loro terra di origine e mettere su famiglia. Interessante.

Non solo, ma osservano certe distanze tra le varie coppie, in pratica, come molti animali, hanno per indole il concetto di distanziamento sociale.

Vista dal monte Cervati sul monte Motola. (Foto M. Kalby)

Forse vi starete chiedendo: si vabbè, il rispetto totale per gli animali, senza mai toccarli, tante belle chiacchiere, però per esempio il problema dei cinghiali, nelle zone montane, se non fosse per i cacciatori che li abbattono, sarebbe insormontabile. Be’ questo pensiero, il dubbio, lo avevo pure io e allora gliel’ho chiesto.

Sì, il problema dei cinghiali, che sono troppi in questi ultimi anni, è innegabile, però dobbiamo anche ricordare che sono stati proprio i cacciatori a premere negli anni passati perché si ripopolasse con questi animali. Sono stati introdotti così, dalle nazioni dell’Europa Orientale, sulle nostre montagne, le sottospecie di quelle zone. Si riconoscono facilmente, sono molto più grossi, pesano intorno ai cento chili, quando una femmina della nostra sottospecie arriva circa alla metà del peso. E poi sono molto più prolifici, fanno un sacco di cuccioli, e sono molto resistenti. Tanto che adesso sono diventati la razza prevalente, i nostri sono sempre di meno.

Allora si è sviluppato un sistema che si chiama “selecontrollo”. In pratica si dà l’autorizzazione ai cacciatori di operare anche in zone che magari sono parco naturale, per limitare il numero di esemplari.

Però qui nasce un’altra questione: soprattutto adesso che il Corpo Forestale dello Stato non esiste più si rischia che i cacciatori, con pochi controlli, vadano oltre e uccidano più prede di quelle che sarebbe opportuno e per cui sono stati autorizzati.

Per esempio se io cacciatore ho il permesso di abbattere… diciamo venti esemplari di cinghiale e durante una battuta invece me ne capitano trenta, per dire, e non mi fermo, quei dieci in più, essendo illegali, non posso certo portarli a visitare dal veterinario prima di metterli in commercio. E allora può capitare che magari li regalo agli amici, insomma li metto in circolazione lungo altri canali. E così animali non controllati possono entrare nella nostra catena alimentare, e alcuni parassiti dal cinghiale sono in grado di passare anche all’uomo.

In questi giorni questo passaggio da animali selvatici a uomo abbiamo imparato che si chiama “zoonosi”, è quello che sembra sia successo anche per la nascita di questa epidemia: nei mercati di Wuhan, il metodo che usano per dimostrare al cliente che la carne che stanno comprando viene da un animale sano, è ucciderlo al momento. Mercati affollati di animali vivi, senza acqua corrente né frigoriferi, in questo modo i controlli sanitari sono molto limitati, e il “salto” di specie del coronavirus dal pipistrello o dal pangolino all’uomo viene favorito.

La Carta della Terra

Ci siamo messi, come umani, al di sopra degli altri e al centro, e forse questo virus è venuto a dirci che dobbiamo imparare che siamo solo una delle tante specie di abitanti di questa casa comune. Che dobbiamo, con tutto il pianeta che ci ospita, finalmente fare pace.

Questo concetto alcuni, tra di loro c’era anche Michail Gorbaciov, il segretario generale sovietico, l’hanno sviluppato per diversi anni, hanno speso molto tempo per mettere d’accordo quasi tutti. Alla fine abbiamo adesso, dal 2000, un documento che è stato adottato dall’UNESCO. Forse è un ottimo momento, questo, per leggerlo e provare, ripartendo, a renderlo concreto.

Il documento si chiama Carta della Terra e inizia con queste parole:

“Le sfide che ci attendono

La scelta è nostra: o creare un’alleanza globale per proteggere la Terra e occuparci gli uni degli altri o rischiare la nostra distruzione e quella della diversità della vita. Occorrono radicali modifiche nei nostri valori, nelle nostre istituzioni e nei nostri stili di vita. Dobbiamo renderci conto che, una volta soddisfatti i nostri bisogni primari, lo sviluppo umano consiste fondamentalmente nell’essere migliori e non nell’avere di più. Possediamo le conoscenze e le tecnologie per provvedere a tutti gli abitanti della Terra e per ridurre il nostro impatto sull’ambiente. L’emergere di una società civile globale sta creando nuove opportunità per costruire un mondo più umano e democratico. Le nostre esigenze ambientali, economiche, politiche, sociali e spirituali sono interconnesse e insieme possiamo costruire soluzioni che le comprendano.

Rispetta la Terra e la vita, in tutta la sua diversità, riconoscendo che tutti gli esseri viventi sono interdipendenti e che ogni forma di vita ha un valore intrinseco, indipendentemente dalla sua utilità per gli esseri umani.”

Forse dobbiamo prendere la frase famosa del presidente Kennedy e, sostituendo la parola “Paese” con la parola “pianeta”, iniziare a dire:

Non chiedetevi cosa il vostro pianeta può fare per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro pianeta.

Qui trovate il testo completo della Carta della Terra.

Qui se volete potete vedere il video sull’aquila in Cilento.

Intervista a Mario Kalby, di Francesco Paolo Busco, fotografie di Mario Kalby (tutti i diritti riservati)

(Nell’immagine di copertina i pianori di vetta del Monte Cervati, foto M. Kalby).