13 aprile 2019
Stamattina ritorniamo dalla nostra “corrispondente da Cuba”, Alessandra Riccio (il cui primo racconto trovate in questo articolo), per sentire da lei un altro pezzetto della vita di ogni giorno nella rivoluzione permanente di Cuba.
Quando arrivo la macchinetta del caffè sta sul fornello pronta. Dopo due minuti che parliamo accende sotto. Ormai c’è un piccolo patto non scritto, lei fa il caffè e io porto dei piccoli dolci.
La volta scorsa, forse ve lo ricordate, le avevo posto una sola domanda. Poi ero rimasto quasi sempre in silenzio perché il flusso delle parole aveva un respiro perfetto.
Oggi inizia con una precisazione. Poi da lì tutta una sequenza, in fila, di ricordi.
Una precisazione
La scorsa volta hai scritto che io a Cuba sono stata sei anni, ma ti riferivi solo agli anni come corrispondente dell’Unità.
Se però consideri che da quel primo giorno che ti ho raccontato, nel ’76, all’ ’87, quando sono andata come corrispondente, io a Cuba c’ero tornata sempre, vedi che gli anni sono sedici, molti più di sei.
Dovete capire che lei è una ex professoressa, quindi il piglio di precisione e di “stai attento, controlla sempre ciò che dici, altrimenti ti boccio” non si può mai perdere completamente, secondo me se ce ne facciamo una ragione subito è meglio per tutti.
Quel primo soggiorno come borsista per me è stato fondamentale perché la maggior parte dei contatti, delle amicizie, li ho stretti allora.
Poi, tornando come corrispondente del giornale mi toccava invece andare di più a chiedere per vie ufficiali, per esempio ai Ministeri. Cosa che in realtà, a pensarci, ho fatto poco: non mi è mai piaciuto né ci ho contato molto.
Nel frattempo invece magari alcuni intellettuali che avevo conosciuto nel ’76 avevano ottenuto cariche ufficiali e quindi avevo un contatto già stretto. Ma non per tutti è stato così: alcuni per esempio nell’87, quando sono tornata, erano un po’ maltrattati o stavano riabilitandosi pian piano.
Perché la storia degli intellettuali cubani è sempre stata piuttosto complessa. Sia per i rapporti tra loro e le istituzioni, sia perché alcuni di loro molto presto hanno cominciato a turbarsi dopo che si erano illusi di diventare molto famosi. Perché dobbiamo ricordarci che nei primi anni soprattutto, quella rivoluzione è stata il fenomeno mediatico più brillante del mondo.
La cosa era già affascinante di per sé, poi fai conto che c’era tutta una schiera di uomini bellissimi, virili, a fare da protagonisti: Che Guevara, Fidel ma anche tanti altri.
Hanno addirittura influenzato la moda nel mondo: quello stile militaresco, che prima di loro era detestato, all’improvviso diventa la moda.
Se uno pensa che Cuba, come gli Stati Uniti, praticamente la seconda guerra mondiale non l’ha sofferta; cioè mentre noi stavamo con le pezze, a Cuba c’era la televisione, le macchinone americane, i frigoriferi a due porte. e che quindi la moda maschile a Cuba prima della rivoluzione prevedeva i capelli impomatati ed il baffetto, insomma l’eleganza classica anni ’40, si può capire come quella rivoluzione cambia tutto da un giorno all’altro anche a livello estetico, e lo esportano in buona parte del globo.
Lo sai, una volta, in Italia l’ho vista una di quelle macchinone, una Buick. Mastodontica, blu elettrico, enorme. Solo a giudicare dal peso, dalle dimensioni del motore e dal rombo, penso che non facesse più di tre chilometri con un litro di petrolio.
Eh si, pure io quando stavo lì avevo una macchina strana: un ex ambasciatore se la toglieva e io la comprai, era una Ford Mercury, lo “squalo bianco”.
L’ho tenuta poco, poi ho comprato una Lada perché là il problema è che i pezzi di ricambio se sono Lada li trovi, altrimenti devi andare fino in Messico a comprarli.
E ma allora tutte quelle automobili americane anni ’50 che ancora si vedono a Cuba come fanno? Mah, nella maggior parte dei casi quello che vedi da fuori è americano, ma dentro sono qualunque cosa.
L’automobile di lusso con l’autista
A proposito di automobili mi fai venire in mente una cosa.
Un giorno andai con Cortázar allo studio di questo pittore molto famoso, René Portocarrero. E al ritorno lui poi ci fece accompagnare, guarda, sembra assurdo, con la sua Cadillac nera, tutta foderata di pelle, dal suo autista nero.
Ti sto parlando degli anni ’76, ’77… questo Portocarrero viveva da una vita con il suo compagno, ed era pittore ufficiale della rivoluzione, quindi non è che fosse uno che viveva nascosto. Però aveva mantenuto la sua Cadillac e pure l’autista. E qui una grande risata buona. …sembrava pazzesco.
E comm’ a fatt? Mi scappa a me di getto pensando alla rivoluzione di tutti compagni, di niente privilegi e di una certa avversione per le coppie omosessuali.
La differenza era che questi erano due signori anziani, che non si potevano muovere… Su questo la rivoluzione si dimostrò estremamente comprensiva.
Uno pensa che la rivoluzione cubana sia una cosa univoca, stringata, semplice, e invece c’era spazio pure per cose come questa apparentemente completamente all’opposto.
E non pensare che fosse un privilegio accordatogli perché era il pittore ufficiale perché per esempio ho conosciuto bene Dulce Maria Loynaz che era una poetessa, di una grandissima famiglia proprietaria di piantagioni di zucchero, che invece non era favorevole alla rivoluzione e che lo stesso viveva, da sola, in un villone nel Vedado che ti avrei voluto fare un film, una cosa tipo “Viale del tramonto”. Ma nessuno l’ha mai cacciata.
Ma allora mi stai dicendo che questa rivoluzione era flessibile… umana.
Soprattutto umana mi ripete lei.
E ma scusa, nessuno diceva niente? Non dicevano: “Perché a lei tutta quella villa?”
Sì, come no.
In questi casi c’erano tutta una serie di strutture, per esempio i Comitati della rivoluzione, una sorta delle nostre Circoscrizioni fai conto.
Quando qualcuno metteva in risalto per esempio qualche privilegio ne discutevano fra loro.
Allora poteva essere che il presidente del Comitato fosse già una persona sensata e diceva: “compagni questa signora ha vissuto tutta una vita in quella casa, non se n’è andata, per quanto avversa alla rivoluzione è una cubana… perché non la dobbiamo lasciare dove sta?” E tutto finiva lì.
Oppure si andava, di grado in grado, sempre più in alto fino ad arrivare ad una soluzione.
Si potevano creare comunque situazioni spiacevoli.
Per esempio con gli scrittori c’è stato molto questo: altri scrittori che dicevano: “ah, ma quel libro lì è controrivoluzionario”.
Anche perché ci sono stati molti momenti in cui Cuba ha dovuto difendersi, capisci? Allora tutto quello che, vuoi o non vuoi, per tua volontà o no, finiva per costituire un attacco alla rivoluzione, bisognava tenerlo a distanza.
Il piano “Peter Pan”
Io cito sempre una frase di un mio carissimo amico che diceva: “è un peccato quando una rivoluzione perde un suo intellettuale, ma è ancora più un peccato quando un intellettuale perde la sua rivoluzione”.
La sua storia personale è interessante. Era cubano ma io non l’ho conosciuto a Cuba perché era uno di quelli che erano andati via all’inizio della rivoluzione a causa di un piano degli Stati Uniti che è uno degli esempi di quelle che oggi chiameremmo “fake news”. Il piano “Peter Pan”.
Gli Stati Uniti diffusero la notizia, fake news appunto, che con la rivoluzione Cuba avrebbe tolto la patria potestà ai genitori e avrebbe mandato tutti i ragazzini a indottrinarsi in Unione Sovietica. E la Chiesa Cattolica anche fu in prima fila a sostenere questa tesi.
Allora molti genitori, prima che succedesse, diedero il consenso a far partire i bambini per gli Stati Uniti, per salvarli da questo.
Lui, si chiamava Julio Miranda, fu uno dei ragazzini che partirono. Andò in un collegio di Gesuiti, poi fece il seminario, ed è diventato Gesuita.
Era un ragazzo intelligentissimo, un eccellente critico letterario, amante del cinema, poeta.
Poi, arrivato in Spagna, ha capito che non era cosa, e ha cominciato a spretarsi, a ragionare con la sua testa. Io l’ho conosciuto quando è arrivato in Venezuela. È stato anche in Italia, mio lettore all’università di Salerno. Insomma, aveva scritto un libro di critica molto bello, in cui, parlando di un intellettuale, aveva scritto quella frase che ti ho detto.
E quella frase la cito spesso perché l’ho visto accadere molte volte.
Sono stati molti quelli che hanno perso la loro rivoluzione perché lusingatissimi dall’esterno.
Io gli dicevo sempre: “sentite ma voi lo sapete che siete gli unici, scrittorucoli, scrittorelli, scrittorini, che ve ne andate via da Cuba e vi offrono ponti d’oro: contratti, case editrici, la pubblicità, tutto? A nessun altro intellettuale al mondo gli succede questo”.
Li chiamavano da tutto il mondo, perché dovunque nel mondo gli intellettuali ad un certo punto hanno iniziato a dire: “nessuno ci deve condizionare, in niente, viva la libertà”, contro la rivoluzione di Cuba.
Zoe Valdés
Un esempio di questo l’ho visto accadere molto bene, personalmente.
Una mia amica giovanissima, Zoe Valdés, che fino ad allora non aveva pubblicato quasi niente, andò a Parigi con un contratto con le edizioni Actes Sud, una campagna pubblicitaria strepitosa. È diventata ricca in un baleno, ed ha iniziato a scrivere un libro dietro l’altro.
Perdendo però tutto.
È come se perdessero l’anima, ecco, perché “hanno perso la loro rivoluzione”, che è una visione del mondo che va oltre.
E poi perché la natura a Cuba è fortissima, è dominante, e quindi lontano da Cuba si è spezzato quel rapporto… Da aggiungere che spesso anche una grande nostalgia ci mette il suo.
Naturalmente oltre che pubblicando libri, pubblicavano anche continuamente notizie negative su Cuba: “il lager, il dittatore Castro, l’orrore di Cuba…”
È quasi una clausola del contratto: “tu vieni, noi ti accogliamo, però devi raccontare questo”.
In questo caso io la conoscevo benissimo, è avvenuto tutto sotto i miei occhi, posso riconoscere tutte le bugie che ha detto. So che quando diceva che era maltrattata, che poverina doveva trovare il cibo nell’immondizia, erano tutte bugie. E come lei hanno fatto in molti.
Quelli che sono andati all’estero e non hanno fatto questo, sono andati per una qualche ragione precisa, per esempio si sono innamorati di una straniera, poi si sono sposati ecc. però, guarda caso, quelli lì non sono quasi mai diventati famosi.
Norberto Fuentes
Un altro esempio.
Un giorno stavo ad una conferenza e un uomo seduto a fianco a me ad un certo punto mi fa: “ehi Alessandra non mi riconosci?”.
Era Norberto Fuentes, uno scrittore cubano che in gioventù aveva scritto un libro molto bello, una serie di racconti eroici su episodi della guerra rivoluzionaria.
Poi era stato coinvolto in una vicenda giudiziaria molto pesante riguardante alcuni alti ufficiali dell’esercito.
Venne fuori che questi, non per arricchirsi personalmente ma per finanziare le truppe al loro comando, avevano organizzato il narcotraffico. Erano ufficiali che in precedenza erano stati insigniti di onorificenze dal Partito Comunista Cubano anche perché erano andati a sostenere la guerriglia in Angola. Questo processo sfociò in tre condanne a morte.
Fuentes era stato coinvolto però non andò in prigione.
Bene, quel giorno probabilmente si avvicinò a me perché se io avessi scritto un articolo su di lui, raccontando in Europa i pettegolezzi della vicenda, sarebbe diventato intoccabile. Ma io non lo feci, proprio perché sapevo che in quel caso i pettegolezzi sarebbero andati ad influenzare un piano ben più importante, riguardante Cuba in generale.
Poi lui pensò bene di rivolgersi a García Márquez.
Márquez diceva sempre al governo cubano: “non fate prigionieri politici, non fate condanne a morte”. Secondo me però non capiva che gli attacchi alla rivoluzione erano fortissimi.
Ad esempio per quella vicenda di narcotraffico gli Stati Uniti processarono Raúl Castro, in contumacia, in Florida, perché essendo il capo dell’esercito secondo loro non poteva non sapere. Quando Raúl Castro invece non c’entrava niente. E allora tu che fai, non ti difendi?
Quel processo ai generali a Cuba, trasmesso tutto in televisione, non me lo scorderò mai. Fu un altro bello scoppolone dato a quei poveri cubani.
Perché gli Stati Uniti avevano lanciato la guerra al narcotraffico per cui quello non era, come spesso fanno, un argomento di giustizia o umanitario, ma un argomento per invadere il Paese.
Per questo quegli ufficiali furono giudicati a Cuba “Traditori della patria”, perché il rischio che fecero correre al Paese fu altissimo.
Bene, per ritornare a quella frase, cosa ha scritto Fuentes da che, con l’aiuto di Garcia Márquez, se n’è andato negli USA? “La vita intima di Fidel Castro”, un libro di pettegolezzi. Ce l’ho qui ma non sono neppure riuscita a leggerlo, è una cosa insostenibile.
Garcia Márquez
Ma tu Garcia Márquez lo hai mai incontrato?
Sì, l’ho anche intervistato.
Ovviamente per l’Unità?
No, veramente lo intervistai per un giornale napoletano che si chiamava “L’Araba Fenice”.
Quando finì la borsa di studio a Cuba andai in Messico col corrispondente dell’Unità e la sua famiglia perché il partito comunista messicano era stato dichiarato finalmente legale, ti sto parlando credo del 1978.
Andammo e c’era tutta una delegazione cubana. Tornavo da quegli otto mesi a Cuba con le idee anche un po’ confuse, e visto che si sapeva che Garcia Márquez era a favore della rivoluzione cubana, gli dissi che mi sarebbe piaciuto intervistare questo Márquez, che non era ancora premio Nobel.
Mi ricevette in un albergo a città del Messico e mi raccontò un sacco di cose che io pubblicai su quest’ “Araba Fenice”, il che ti dimostra che non ho mai saputo vendere la merce. E stavolta è proprio di se stessa che sorride.
Pure a Maradona, appena arrivato a Napoli, per lo stesso giornale, feci un’intervista.
Poi, sempre a proposito di artisti e rivoluzione, c’avevo tanti altri amici che magari sono dovuti stare zitti e buoni per un po’ di tempo, però poi hanno avuto tutti, poco a poco, il loro riscatto: un premio nazionale di letteratura o cose del genere. Scrittori che non hanno perso la loro rivoluzione.
Ma mi spieghi un poco questa cosa del veto sull’omosessualità a Cuba?
Riguardo alla questione dell’omosessualità ad un certo momento venne promulgata una disposizione contro alcune categorie: quelli che non volevano lavorare, chi aveva comportamenti antisociali, chi non voleva fare il servizio militare che era obbligatorio ecc. e tra questi c’erano pure gli omosessuali. Questa cosa, cioè metterli in campi di lavoro, è durata meno di due anni però lo stigma c’è stato sempre, come d’altronde c’è stato da noi, esattamente tale e quale, come negli Stati Uniti, ovunque.
Però un sistema statale rigido, che diventa sempre più rigido per difendersi, poi commette errori.
Fidel Castro
Poi la domanda che prima o poi doveva uscire: ma tu Fidel Castro lo hai conosciuto?
Personalmente no.
L’ho visto cento volte, qualche volta anche nel suo studio, seduti come stiamo adesso, anzi più vicino ancora perché facevo da interprete, una volta, ad esempio, per Cossutta.
Che tipo era?
La risposta è istantanea, secca, tranquilla: meraviglioso.
Una persona gentilissima, cortesissima. Anche se per esempio, come nel mio caso, facevi l’interprete, non è che non ti guardava, che non ti considerasse proprio. Anzi ti chiedeva, si interessava alla tua persona, ti parlava al di là della funzione che svolgevi in quel determinato momento. Era curioso di tutto, che fosse una persona fuori dall’ordinario te ne rendevi conto subito.
Quando ero corrispondente io andavo sempre a sentirlo quando teneva un discorso perché ti faceva capire un sacco di cose. Se per esempio parlava all’inaugurazione di una fabbrica di cemento, lui spiegava le motivazioni, perché, per come…
Aveva una straordinaria visione globale, del mondo. E poi una conoscenza perfetta anche della vita quotidiana del popolo di Cuba.
Una volta, mi ricordo, c’era scarsità di acqua. I cubani fanno due docce al giorno e non una cosa veloce, zac, fatto, ma una cosa con calma, cantando sotto lo scroscio. E allora per forza l’acqua non può mai bastare. Allora lui un giorno, mi ricordo, in un intervento disse: “ma non potete misurarvi un poco con quest’acqua, che se no da dove la pigliamo?”
Un’altra volta fece un’altra richiesta al suo popolo: “io lo so che ci sono persone che magari per lavoro viaggiano, vanno all’estero, ma è proprio necessario che poi al ritorno portate ai vostri figli dei regali grandi? Quelli poi vanno a scuola, i compagni li vedono e dicono: perché io quella cosa non ce l’ho e tu ce l’hai?“.
I dettagli che fanno il mondo.
Quando cadde l’Unione Sovietica la preoccupazione di Fidel era: e ora quelle armi nucleari in mano a chi saranno?
Odiò Gorbaciov. E quando venne a Cuba, in maniera elegante ma glie ne disse quattro.
E sai quale fu il primo viaggio che fece Mandela dopo la sua scarcerazione? Venne a Cuba come prima cosa.
Poi guarda per un attimo un punto nell’aria che io non vedo:
Un giorno il terzo mondo farà capire al mondo chi è stato Fidel Castro, e che speranza è stato per tutta questa gente.
Poi c’è silenzio, nessuno di noi due dice più niente.
Certo mica poteva fare tutto. Mi ricordo sempre, e sorride un attimo, che dicevano sempre: “lascia che lo sappia Fidel Castro”.
Nel senso che lui avrebbe subito risolto. Però questo certo non andava bene, non è che si poteva aspettare che risolvesse tutto una persona sola.
Ora cambia argomento: lo sai che quest’anno si festeggiano, a novembre, i cinquecento anni della città dell’Avana?
Anche se adesso è cambiata molto, illuminata, pulita, in giro circolano auto nuove, c’è gente che si arricchisce.
La psicosi dell’informatore
Ma la proprietà privata come ha funzionato?
Guarda la proprietà privata c’è in un piccolo settore, nel turismo, anche nella coltivazione della terra. Ad un certo punto hanno detto: vediamo se questa terra riuscite a gestirvela da soli.
E comunque in realtà, un poco c’è sempre stata. Per esempio ti si spezzava un’unghia e allora l’amica ti diceva: vai da quella vicina che lei fa le unghie. Oppure c’era quella che faceva le torte. In maniera non ufficiale però, senza nessuna ricevuta fiscale.
La sensazione è che loro sapessero tutto però non intervenivano fino a quando la cosa non superava una certa proporzione.
Loro le cose le sanno. Perché lo Stato lì è presente. Poi c’è chi lo sente come una presenza soffocante, e a chi invece piace.
Però capisco che questo argomento sia stato sempre un punto delicato del quadro. La psicosi dell’informatore è esistita e probabilmente in certi momenti e in certi posti è stata fondata.
In proposito mi ricordo che prima di partire per la borsa di studio andai a parlare con Rossana Rossanda che è stata il mio mito del giornalismo, di tutto, e lei mi disse:
“Senti cara, tu non parlare mai al chiuso nelle case ma vai per esempio in un parco, in uno spazio aperto. Non parlare al chiuso perché è spiato”, cioè mi voleva dire: ci sono le cimici.
E allora quando sono andata lì ero sicura che c’erano spie da tutte le parti.
Per un attimo mi pare di stare davanti al corrispondente femminile di Robert Redford dentro “I tre giorni del Condor”.
Questo lo diceva lei ma non era vero.
Ah ok, allora davanti ho ancora la signora napoletana che conosco.
Tieni conto che all’epoca c’era il caso Padilla in corso, un caso complicatissimo, che magari ti spiego la prossima volta, ma in sintesi questo scrittore fu accusato di essere un controrivoluzionario.
Bene, io abitavo proprio a fianco a Padilla. Quella foto che hai pubblicato la volta scorsa di me e di quella mia amica sovietica, è scattata a pochi metri dalla sua casa.
Allora una volta Padilla mi diede delle lettere da portare alle figlie che stavano a Madrid e se ci fosse stato tutto questo spionaggio mi avrebbero almeno fermato. Perché avrebbe potuto scrivere in una lettera in cui lanciava qualche accusa: “mi tengono prigioniero, mi hanno torturato”, che ne so, invece non mi hanno detto assolutamente niente.
Quello fu un caso emblematico, complicatissimo. Non hai idea di cosa successe: una grande parte degli intellettuali soprattutto europei si bisticciarono con la rivoluzione cubana, tranne Cortázar e Garcia Márquez.
Allora questo argomento vasto ricordatevelo che glielo chiediamo la prossima volta.
Sono stato ad ascoltare per circa due ore, e non sono riuscito neppure a dirvi tutto: la moka, pure se era solo da due tazze, di caffè ne contiene molto.
Intervista ad Alessandra Riccio, a cura di Francesco Paolo Busco