IL VIAGGIO (6) – Il tempio buddhista di Napoli ci regala una sorpresa, un matrimonio. Ricomincia il nostro viaggio

Giorno 6, domenica 28 giugno 2020

Domenica, di prima mattina, sono in bicicletta a fare un giro. Dopo un po’ di pedalate qualcosa dentro la mia testa si rimette in moto.

Inizio a pensare che sarebbe un buon giorno per riprendere, dopo questa grande pausa planetaria che ci ha coinvolto, questo viaggio lungo, intorno al mondo, senza bisogno di uscire dalle nostre città. C’è tanta gente che si sposta da un capo all’altro del pianeta, che quotidianamente ci viene incontro, che forse per viaggiare basta semplicemente smettere di vederla a stento, di riporla in un angolino dello sguardo e dei pensieri.

Chi sa se il tempio buddhista di cui in parecchi, incontrati lungo questo viaggio: sì, quello grande, vai a vederlo, stamattina è di nuovo aperto, dopo la chiusura forzata delle porte?

Guardo su internet.

In uno spazietto del monitor compare, in verde: “adesso aperto”.

Sì, ma come ci si arriva? Guardo la cartina, anzi infilo l’indirizzo dentro lo schermo, via Tomasi di Lampedusa numero 91.

Poi cerco di collegare le linee che compaiono con quelle che tengo conservate da qualche parte. Quando penso di essermi creato un’immagine sufficiente parto.

Salgo verso Capodimonte; per la prima volta stamattina il viaggio lo faccio in auto, evitiamo le metropolitane, che si muovono in luoghi chiusi e aperti a molti; poi via vecchia San Rocco.

E mo? A questo incrocio, adesso? Non trovo nessuna corrispondenza nella testa che mi dica se andare a sinistra o a destra.

Ma come? Aggio guardato ‘a cartina solo fino a questo punto?

Come viaggiatore a volte sono pessimo.

Poi penso un’altra cosa, completamente sul lato opposto.

Tengo talmente fiducia nel viaggio che sento che non serve tutta la cartina, basta conoscere solo un parte del percorso, anzi è proprio meglio.

Sant’Ignazio di Loyola sapete che faceva quando si voleva recare in Terra Santa? Regalava, prima di partire, tutte le monete che gli avevano donato. Si assicurava di non avere con sè niente, neppure compagni fissi di viaggio cui appoggiarsi. Sentiva profondamente che affidarsi al mondo era il metodo giusto per spostarsi davvero, per riuscire ad arrivare veramente da qualche parte.

Allora a questo incrocio vado a orecchio.

Non devo aver sbagliato di molto: avevo letto sulla mappa che questo tempio sta attaccato ad un campo di calcio. Lungo una stradina secondaria tra Capodimonte e Scampia, dal finestrino, chiedo a un signore che sta camminando: sì, qui c’è il campo di calcio, dietro questo cancello. Però dal lato dove siamo adesso non si vede nessun tempio.

Vabbè aggio capito, mi tocca, per punizione di non aver guardato bene la cartina, fare un giro di campo.

Da adesso in poi svolto a sinistra a tutti gli incroci e semafori che incontro.

Poi la loro bandiera sopra la porta di un negozio: il leone d’oro con la sciabola su uno sfondo rosso.

Sulla porta c’è un ragazzo. Lui, se non ho sbagliato di chilometri, adda per forza conoscere ‘sto posto.

Mi fermo, scendo, vado a chiedere.

Vedi quel divieto di accesso? Entra lì dentro e vai fino in fondo.

Mo penserete che ho fatto un’infrazione al codice ma invece sotto il divieto c’è scritto: “eccetto autorizzati”. Per un attimo mi sento il terzo dei Blues Brothers, penso che poiché stiamo andando a cercare un posto sacro siamo autorizzati. “We are on a mission from God”, loro avrebbero detto.

Lungo la stradina inizio a incontrare singalesi, buon segno. Uno mi dice proprio che l’ultima macchina parcheggiata lungo il muro è un buon posto pure per noi per lasciare ‘sta scatola di latta.

Sulla sinistra c’è un muro tutto dipinto d’oro.
Sopra c’è scritto: “Unione buddhista italiana, Tempio buddhista di Napoli”. Emozione, siamo arrivati.

Varcata la porta si entra come in un giardino.

Chiedo a un signore come si fa per andare oltre.

Gira lì intorno, puoi andare più avanti e lasciare lì le scarpe.

Il viaggio oggi si fa coi piedi che toccano la terra, al massimo vi potete tenere i calzini.

Intorno grandi statue di Buddha.

Rilassanti.

Stamattina c’è un matrimonio, in corso; ecco perché c’è gente che aspetta fuori, lungo il viale d’ingresso, sotto una bella tenda, al fresco.

Mentre aspetto in mezzo agli altri inizio a chiedere.

Esiste da 20 anni, a Napoli ce ne sono due, uno, quello più semplice, a Montecalvario, ve lo ricordate? Lo abbiamo già visitato insieme. Anche loro sanno che si sta per spostare alle Fontanelle. Il mondo è piccolo; nessuno più di noi ci può credere.

Sul muro, sopra la porta principale c’è dipinto un Buddha, sopra la testa ha una fiammella.

Se ci fate caso anche nelle nostre chiese cattoliche alcune volte trovate dipinti o statue con la stessa identica energia che sgorga dal punto che chiamiamo nei bambini “fontanella”. Loro ce l’hanno ancora aperta quella zona del capo appena nati. Forse in quel momento, da pochissimo arrivati in questo mondo, siamo molto più saggi.

Poi il signore anziano a cui mi ero rivolto all’inizio, quello che sbucava da un giardinetto separato con dipinti, sui muri di una fontana, gli elefanti, mi viene a cercare per dirmi che adesso posso entrare.

Grazie.

Dentro altre statue del principe Siddharta dopo che si era illuminato, ognuna con davanti un piccolo altare. Quella a destra entrando ha dietro la testa le luci a led che si muovono in un ritmo organizzato.

Era rimasto impressionato dalla scoperta improvvisa, il principe che era stato protetto per molto tempo, della sofferenza umana, della malattia, della morte. Ma invece di intristirsi e chiudersi ancora più dentro, aveva deciso di andare a cercare la soluzione nel mondo, da qualche parte. Poi quando l’aveva trovata era tornato, come aveva promesso, ad insegnarlo agli altri.

In una sala più interna, seduti a terra, ci sono gli invitati. In fondo c’è il monaco con la tunica arancione e davanti a lui, pure seduti, senza scarpe, gli sposi con i vestiti eleganti. Non entriamo per non disturbare un momento importante.

Fotografo da lontano. Ingrandendo la foto mi accorgo che il monaco e i due sposi tengono in mano un unico filo bianco; mentre sono in un atteggiamento che sembra di preghiera. Interessante.

Nel frattempo chiedo a quelli che come me stanno aspettando.

Un signore giovane, col sorriso e i baffetti, in giacca e cravatta, elegante come tutti qui stamattina tranne me che c’ho la camicia per andare in montagna, inizia a raccontarmi quello che sa di questo posto.

Poi quando gli chiedo dei dettagli sulla posizione delle mani delle statue di Buddha, che differenza ci sia tra le varie raffigurazioni, mi dice che lui però è cattolico anzi si chiama addirittura Montini, come Paolo sesto, il papa.

Quindi siete parente del papa? Se fate Montini di cognome…

No, no, il cardinale Montini era amico di mio zio, anche lui cardinale; da giovani studiavano insieme. Una volta, io ero appena nato, venne con mio zio a casa mia, mentre mi teneva in braccio disse ai miei genitori: perché non lo chiamate come me?

Poi mi fa vedere la patente: serve un documento ufficiale per certificare questa storia dell’altro mondo. C’ha ragione proprio, c’è scritto : Monteene, all’inglese, ed è il suo nome di battesimo, poi Medagada e un altro nome singalese che non mi ricordo.

Vengo a Napoli a cercare un tempio buddhista singalese e incontro un invitato al matrimonio che si chiama come un papa cattolico. Poi non mi dite che il viaggio che stiamo facendo è troppo stretto perché non prende aerei, a me ogni volta mi pare di spostarmi troppo.

Finisce la funzione, senza grandi accadimenti, sembrava un lungo dialogo tra gli sposi e il monaco. Intorno gli invitati, limitati a venticinque in questi giorni.

Nel frattempo mi hanno raccontato che gli sposi avevano programmato di sposarsi in Sri Lanka, poi la pandemia ha deciso per loro. Neppure i loro genitori sono potuti venire ad assistere a questo grande giorno.

I fotografi che già erano all’opera durante la cerimonia adesso, sempre scalzi pure loro, fanno le foto agli sposi e agli invitati, a piccoli gruppi, sotto un arco di legno ornato di veli e fiori.

La tradizione originale, mi dicono le mie guide locali di oggi, sarebbe un arco fatto con due rami di palma da cocco ornati di fiori, ma a Napoli e nel 2020 hanno pensato di modificarla un poco.

Anche la torta nuziale a tre piani è come le nostre? Chiedo.

Sì, ma la tradizione originale prevederebbe un grande piatto di riso bianco che si chiama “kiribath”.

Vado a guardare nella mia guida di viaggio e trovo scritto: “riso cotto nel latte che viene servito con zucchero grezzo, si prepara per i matrimoni ed è spesso il primo alimento solido dei neonati”. Mo sono curioso di assaggiarlo, magari in qualche ristorante un giorno lo trovo.

Dal riso bianco alla torta con i pupazzetti che raffigurano gli sposi e un “Just merrid” in inglese del popolo. Ancora più curioso.

Dopo il matrimonio entro nella stanza. Stanno affluendo altre persone per un’altra funzione. Sono accanto a una signora. Arriva un uomo che ci avvicina un vassoio con le offerte di cibo simboliche. La signora mi insegna cosa fare: si accostano le mani aperte sopra al vassoio, poi si congiungono davanti a sè per ringraziamento. Non riesco a farmi spiegare il significato a parole, ma credo non ce ne sia bisogno, si sente che è una sorta di dare e di ricevere, una benedizione reciproca, in silenzio.

Torno nella stanza principale e noto un signore che sta guardando con interesse uno degli altari, è l’unico in questo momento che ha sembianze occidentali. Le mie guide turistiche mi spiegano che è un amico della coppia, e gestisce uno dei C.A.F. a Napoli. Il contatto più stretto tra un popolo e un altro attraverso l’aiuto nella risoluzione di questioni fiscali.

Dentro un’altra stanzetta, separata da una porta di alluminio con i vetri, c’è un’altra statua grande.

Chiedo perché c’è distinzione tra gli ambienti.

Quella è una stanza “più sacra” diciamo, custodisce alcune reliquie del Buddha donate da un tempio in India.

Questa struttura moderna adesso mi appare più chiaro che ha un legame profondo con una storia antica.
Fa caldo, mi invitano a bere qualcosa.

Una signora che collabora a portare da bere agli invitati indossa un vestito ricamato color oro. Le chiedo dove lo ha comprato.

No, non trovare in Italia, viene da Sri Lanka.

Tutti questi arabeschi, perle, oro, sembra di essere nei libri di Salgari. Che poi a pensarci era uno dei massimi esperti mondiali di viaggi senza muoversi dal proprio soggiorno.

I consolati, dove normalmente si svolgono prima i matrimoni, prima di andare al tempio, adesso sono chiusi per il virus, e allora ci si sposa con la sola cerimonia religiosa e molto limitata nel numero di invitati.

Uno dei due sorride e dice che anche per lui, ce lo hanno raccontato in parecchi, spesso senza che chiedessimo, la corruzione in Sri Lanka è forte. Anche dopo lo tsunami secondo lui ci sono stati molti abusi.

Uno dei due sta qui da 13 anni, Monteene da 30, e da un anno moglie e figli sono tornati in Sri Lanka: ora i miei figli sta studiando in Sri Lanka, appena loro finire di studiare torno.

La prima risposta a: volete tornare in Sri Lanka? era stata: due volte all’anno. Cioè i ritorni periodici che fanno.

Poi riesco a parlare con il monaco che gestisce questo tempio.

Dentro una stanzetta con l’aria condizionata bella forte.

Lui sta a Napoli da diciassette anni, prima era stato a Parigi per otto. Qui si faceva istruzione sul Dhamma, gli insegnamenti buddhisti, per gli adulti e per i bambini, molti. Adesso, causa epidemia, è tutto momentaneamente fermo.

C’è anche un gruppo di meditazione Vipassana, gestito da italiani, che si riunisce periodicamente.

Poi mi racconta cosa ha detto al matrimonio:

Ho spiegato un’idea centrale del buddhismo: come vivere il presente, e che è molto importante la famiglia. A Napoli, in Occidente, vivere insieme è difficile: dopo un anno molti si separano e non è bene così. Problema è nella mentalità, tanti problems, pensare futuro, pensare passato, non va bene, troppi pensieri da gestire. Bisogna pensare al presente. Questo porta felicità.

Poi gli chiedo delle statue del Buddha: perché hanno diverse posizioni delle mani.

Le mani una dentro l’altra sono un invito alla meditazione. Le mani una in verticale con indice e pollice che si toccano e l’altra più in basso, indicano l’invito allo studio della dottrina.

Poi mi racconta che le reliquie di un osso del Buddha si trovano qui in un’urna, non vengono mostrate che ogni tre o cinque anni.

Gli ho tolto anche troppo tempo in un giorno in cui il matrimonio è la cosa centrale. Saluto, ringrazio e mi avvio verso fuori.

Rimetto le scarpe, saluto le mie guide.

Faccio un’ultima foto al buffet al quale mi avevano invitato ma che viaggiando in punta di piedi, cercando di non disturbare troppo, ho pensato che fosse meglio lasciare che si svolgesse tra loro, più raccolto, sentendosi a casa.

(Fine sesta parte, continua)

Testo e foto di Francesco Paolo Busco (tutti i diritti riservati)