IL VIAGGIO (5) – Ancora in Sri Lanka sempre camminando per Napoli: entriamo nella chiesa del Gesù Nuovo e ci ritroviamo in un cinema in via Cisterna dell’Olio

Giorno 5: domenica 26 gennaio 2020, mattina

Verso la chiesa del Gesù Nuovo, alle ore 8 dovrebbe esserci la messa, in singalese.

Arrivo con qualche minuto di ritardo, entro di fretta, questa chiesa è gigantesca, nobile, mi giro di nuovo verso l’ingresso e c’è tutta la parete affrescata e un lampadario che le pende davanti luccicante d’oro.

Però di singalesi non c’è traccia; forse era alle 8,30 invece che alle 8?

Nel frattempo vado in giro, visito il luogo.

San Giuseppe Moscati; me lo ricordavo a stento che stava qui dentro. Il bronzo della statua che lo raffigura è del suo colore scuro eccetto le braccia, chiare, le mani e le braccia, di quando la gente sfiora o tocca per portare con sé un contatto potente, sacro.

Due signore, una in piedi, l’altra accovacciata quasi fino al pavimento, ai lati di quella figura, pregano, a lungo. Un’altra aspetta il suo turno seduta su una delle panche ad alcuni metri, oltre la balaustra di marmo.

Alle 8,30 precise suonano le campane ed entra il prete.

Però non parla la lingua dello Sri Lanka.

Qui ci saranno, e una alla volta stanno ancora arrivando, trentacinque persone, lontane, sparse dentro questa navata lunga, altissima, da ciclopi, alcuni si trovano a chilometri di distanza dall’altare.

Inizia la messa e vado ancora più silenziosamente a cercare.

A volte i singalesi con le date, con gli anni, pure con i concetti delle parole, ho la sensazione che abbiano spazi-tempo diversi da quello che noi usiamo. Gli chiedi, e loro a volte “non lo so”, a volte sorridono dondolando la testa, più la dondolano più è preoccupante.

Però stamattina, prima di partire, lo avevo trovato un motivo, forse, di questo sfasamento temporale. Loro seguono un calendario lunare, cioè il ciclo dell’astro pallido, che compie un ciclo in ventotto giorni. E allora “ogni tanto, per recuperare”, dice la mia guida di viaggio, “aggiungono un mese”.

Ogni tanto?

Forse ho letto male, poi a casa la rileggo, giuro, però l’idea mi piace, contro ogni certezza ingegneristica, rigorosa, ufficiale, che in nome dell’ottimizzazione perde per strada un sacco di parti umane nostre essenziali. (*)

Entro nella sagrestia, cerco, anche di chiedere a qualcuno, che non trovo, provo, tutte le porte, chiuse.

Torno nella navata centrale, chiedo a un signore giovane che pare di casa da come si muove.

Scusi sto cercando la cappella De Gironimo.

L’avevo letto un minuto fa sul manifestino affisso in chiesa: “Domenica, ore 8,30, comunità singalese, messa nella cappella” con “S.F.” e questo nome.

Lui sa tutto ma non si ritrova.

Ripeto: i singalesi…

Ah ecco: San Francesco De Gironimo volete dire.

Dovete uscire, rientrare dall’ingresso della scuola che sta qui a fianco, trovate una scala, scendete e c’è la cappella, adesso stanno officiando.

Dai che forse abbiamo finalmente l’indirizzo giusto di una chiesa cattolica, napoletana, dentro lo Sri Lanka.

Entro nel cortile, scendendo la scalinata con le pareti umide scrostate inizio a percepire quelle loro parole musicali, con la lingua che curva sul palato e la gola che suona. Giro a destra, eccola l’altra chiesa.

Resto sull’uscio di una stanza bianca, sotto il livello stradale.

L’interno della piccola chiesa

Parecchie persone, tutte coi tratti tipici di quel popolo, e il prete che ha la loro stessa carnagione.

Non capisco quello che dice, però a tratti il ritmo è inconfondibile. Il “Credo” scopro che ha la sua cadenza identica pure quando lo recitano in una parte lontanissima del mondo.

“Cristiani” anche suona uguale.

“Amen” ha più una i che una e tra la m e la n.

L’omelia, si dice così in singalese?, mi pare lunghissima senza poter usare un significato per addensare nella mia testa i suoni.

In questa sala ci sono stamattina cinquantacinque persone. Le sedie sono singole, essenziali, però morbide.

Dopo un po’ di minuti si libera il primo posto oltre la soglia. Sono l’unico non di origini singalesi in questa stanza stamattina. Quelli delle ultime file in fondo mi osservano un poco.

Davanti a me c’è una famiglia giovane con tre figli, bellissimi piccoli svegli e calmi, dai visi dolci e tondi.

I capelli di tutti qui dentro sono foltissimi, neri lisci perfetti. Il prete è l’unico che ne ha qualcuno in meno e un poco bianchi.

Poi c’è un momento che ci si inginocchia, a terra. Lo fanno quasi tutti. Io resto metà e metà: un ginocchio a terra e l’altro in aria. A messa ci vado pochissimo, di più in un tempio buddhista, e poi noi nelle chiese per poggiarci le ginocchia abbiamo le panche di lusso.

Sto scomodo, mi sento abbastanza ridicolo in questa sospensione e la cosa dura: a un certo punto convinco ad atterrare anche il mio secondo menisco.

A fianco a me c’è un signore giovane con la giacca rossa. Quando sono arrivato ci siamo scambiati un buongiorno internazionale con un cenno.

Poi mi dice, a un certo punto: Sei un giornalista?

Gli vorrei spiegare che sono soprattutto un curioso viaggiatore ma in questo momento di raccoglimento è troppo lungo.

Allora guarda che oggi pomeriggio San Sebastiano lo portano in processione per la piazza fuori.

Ecco perché davanti alla porta della chiesa c’è, su un altarino con i rasi rossi, la statua di quel santo, la sua ricorrenza è il 20, oggi è la prima domenica che segue.

Ringrazio, interessante.

Canti, quasi tutti quelli presenti li conoscono a memoria, anche uno dei tre bambini, che mentre canta gioca a morra cinese col fratello più grande.

La sorellina piccola in braccio alla mamma fa un po’ più confusione, strilla ogni tanto, mette e toglie gli occhiali in diversi punti sopra la faccia del padre a fianco.

Poi arriva un’altra bambina col cappotto di cappuccetto rosso identico.

L’altra, quella in braccio alla mamma, al confronto era calmissima, questa è più grande, coi capelli corti, tiene, coi piedi, saltellando, il tempo perfetto di ogni singolo suono che cantano o che il prete dice.

Ogni tanto mi passa vicino e salta il filo elettrico steso sul pavimento con un movimento rapidissimo, piccolo piccolo, al momento perfetto.

La piccola la guarda, e si fa talmente prendere dentro il movimento di quell’altra, che resta per parecchi secondi immobile in silenzio.

Il fratello della morra cinese pure la guarda, fisso, attento… assorbe.

Scambiamoci un segno di pace, io e due signori a fianco a me, guardandoci negli occhi, da una parte all’altra del globo.

Alla fine della messa mi fermo a parlare col signore in rosso.

Si chiama Dinesh.

Stamattina, se ti interessa, c’è anche un film al cinema Modernissimo, singalese, si intitola: “President Super Star”.

Ah ecco!

I manifesti che avevamo visto la volta scorsa proprio qui fuori, a piazza del Gesù, senza saperli leggere, vi ricordate? Quel signore col pizzetto sul manifesto che non si capiva se fosse di un comizio elettorale o di un concerto.

Poi mi racconta che lui stesso ha fatto un piccolo ruolo in un film, qui a Napoli, coi The Jackal e che fa parte di un gruppo singalese di teatro.

Il manifesto di “President Superstar”

Grazie, uno che vuole raccontare.

Ci vediamo a cinema tra poco, alle dieci? Perché vorrei restare un attimo a chiedere al prete alcune cose.

Rientro in chiesa e sembra una seconda messa. Quattro bambini, tutti vestiti in bianco, i genitori: battesimi.

Aspetto, ma ci vorrà tempo.

Ok, dai, torneremo un altro giorno, oggi seguiamo questa nuova traccia: cinema Modernissimo, via Cisterna dell’Olio.

Dal vetro già si vedono loro, sono in tanti.

L’ingresso del cinema Modernissimo

Che sorpresa, chi se lo immaginava che questo cinema in cui vado da anni, in certi orari ospitasse un tipo così diverso di spettatori.

Entro, vado al botteghino, anche la cassiera è singalese in questo momento (quando ho detto che volevo fare il giro del mondo senza muovermi qualcuno mi deve aver preso estremamente sul serio).

Chiedo quanto dura.

Quasi due ore.

Ci sono sottotitoli?

In nessuna lingua.

Costo?

Cinque euro.

Ci penso. Altre due ore senza capire una parola, come a messa, vedendo solo le figure?

Ci ho pensato, sono curioso, entro.

Le ho già dato i soldi, sto aspettando il resto, poi mi sento chiamare. È Dinesh, il signore della chiesa.

Parla con la cassiera: ma lui giornalista, non lo fate pagare.

La fortuna aiuta gli… curiosi: venite anche voi che si entra gratis.

Dinesh, ma sarà tutto in lingua singalese? Capirò qualcosa?

Non ti preoccupare, io spiegare.

Stamattina pare che teniamo qualche santo in paradiso, di sicuro lo studio medico di San Giuseppe Moscati stava su questa stessa strada a pochi metri.

Poi mi presenta altre persone, tra cui Mangala, che si occupa di teatro da anni, anche come autore. Fanno parte del gruppo “You1”, sono loro che hanno organizzato questa proiezione, il cui ricavato andrà in beneficenza nel loro Paese d’origine. Lo scopo è anche mantenere viva la coscienza politica dei loro connazionali, anche stando lontani da casa, per un Paese che negli ultimi anni ha avuto molti rivolgimenti.

La sala, quella grande, è piena per metà. Su un tavolo davanti alla schermo c’è una struttura fatta di dischi di ferro a più piani, tipo le torte dei matrimoni. Poi mi spiegano che è una lampada a olio di cocco.

A turno si avvicinano alcune persone e ognuno accende una delle fiammelle. È un rito che fanno prima delle cerimonie importanti.

Inizia la proiezione.

Per tutto il film, quasi a ogni scena, Dinesh mi spiega cosa hanno detto.

È un film satirico, sui politici in Sri Lanka. Il pretesto è un gioco a selezione, una specie di talent ma per diventare Presidente, senza cantare ma facendo comizi da campagna elettorale.

C’è il socialista, c’è Ali Babà con i quaranta ladroni, ripercorre tutta la storia della politica srilankese degli ultimi anni.

Anche Nelson Mandela viene citato come ispirazione dal più idealista dei partecipanti. Poi ci sono i giornalisti onesti spazzati via, la corruzione, il Presidente che comanda tutto: Parlamento, esercito, stampa, polizia.

Il concorrente della tribù indigena, seminudo, abbandona la competizione quando lo chiamano per una cosa urgente sul suo iphone ultima versione.

Uno dei candidati del gioco pare un camorrista dei nostri anni ’70: catena al collo, capello riccio lungo, e poi capisco che effettivamente appartiene all’equivalente loro di quel mondo.

Il presidente Obama che non fa una piega quando gli chiedono i documenti all’aeroporto contrasta con i politici singalesi che invece se ne fottono di ogni controllo.

Alla fine vince il candidato non propriamente onesto.

Quello con i grandi ideali, dalla parte del popolo, si classifica solo secondo ma gli arriva in dono un figlio che forse migliorerà il mondo.

Esco e sono evidentemente una presenza talmente rara che nella hall del cinema mi intervistano in video per uno dei loro siti di notizie locali.

Grazie Dinesh di avermi spiegato, con grande pazienza, tutto, restiamo in contatto.

Ora che sto scrivendo queste righe, quel film lo vedrei di nuovo: coloratissimo, incisivo ma divertente, un misto interessante di Oriente e Occidente.

Mi incammino, è stata una mattinata densa, mo ci vorrebbe un poco di riposo, chiedo a qualcuno dove sia un ristorante singalese in zona Montesanto, e mi dicono che in via Ventaglieri, qui a pochi metri, ce n’è uno.

Una signora simpatica serve chi entra affamato. Poi c’è solo un altro signore seduto nella sala interna, lui sta già mangiando, con le dita abituate, beato.

Mi metto a chiacchierare con la padrona di casa. Mi viene in mente di fare finalmente quella domanda che da un po’ mi porto nello zaino:

Lei da dove viene? Me lo fa vedere sulla cartina per favore?

Cerca per qualche momento, è un posto famoso, al centro, sui monti, si chiama Kandy.

C’è tempio di dente di Buddha al mio paese.

Ogni anno, ad agosto, durante la processione, proprio nel momento che issano la reliquia del dente sopra l’elefante, inizia a piovere, sottile.

Se pensiamo che la Reliquia del Sacro Dente è ritenuta proteggere il Paese dalla siccità, che proprio in quel momento inizi a piovere credo sia beneaugurante. Forse come una specie del nostro scioglimento del sangue.

Quella a cui la signora ci sta accennando, dice la guida tascabile che mi accompagna, si chiama Maha Perahera (Grande parata) è la festa religiosa più importante dello Sri Lanka, dura dieci giorni, coinvolge un centinaio di elefanti e migliaia di danzatori, suonatori di tamburi e acrobati.

Siamo entrati, nella zona di Montesanto, in una stradina, dentro un piccolo ristorante, ne stiamo uscendo con il nome di una città e con una storia molto grandi.

Tanto grandi che anche Marco Polo, circa mille anni fa, ne Il Milione ne racconta.
Seila (Ceylon, fino al 1972 era il nome dello Sri Lanka, ndr) è una grande isola: è grande com’io v’o contato in adrieto. Or è vero che in questa isola aè una grande montagna (la zona montagnosa dove si trova Kandy, ndr), ed é ssì diruvinata che persona non vi puote suso andare se no per uno modo: che a questa montagna pendono catene di ferro sì ordinate che li uomini vi possono montare suso. E dicono che in quella montagna si è il monumento d’Adam nostro padre; e questo dicono li saracini, ma l’idolatori dicono che v’è il monumento di Sergamon Borgani (Buddha, ndr). E questo Sergamon fue il primo uomo a cui nome fue fatto idole, ché, secondo loro usansa, questi fue il migliore uomo che fosse mai tra loro, e ‘l primo ch’eglino avessero per santo.[…] E ssì vi dico che gl’idolatori dalle più lontane parte vengono in pellegrinaggio, siccome vanno i cristiani a Sa Iacopo in Galizia. Ma i saracini che vi vengo in pellegrinaggio, dicono ch’è pure il monumento d’Adamo; ma, secondo che dice la Santa Iscrittura, il munimento d’Adamo si è in altra parte. Ora fu detto al Grande Kane che in su questa montagna era lo corpo d’Adamo, e li denti suoi e la scodella dov’elli mangiava. Pensò d’avere li denti e la scodella: fece ambasciadori e mandogli a rre dell’isola di Seilla a dimandare queste cose. E i re di Seilla le donò loro: la scodella era d’un proferito bianco e vermiglio. Gli a(m)basciadori tornarono e recarono al Grande Kane la scodella e due denti che erano molti grandi. [… ] E fue ricevuta questa cosa in Gambalu con grande reverenzia; e trov[o]ssi iscritto che quella iscodella avea cotale vertù, che mettendovi entro vivanda per uno uomo solo, n’aveano assai cinque uomini; e ‘l Grande Kane il provò, e trovò ch’era vero.

La signora abita a Napoli da molti anni, le chiedo se vuole tornare in Sri Lanka.

Non posso tornare adesso. Non posso lasciare la mia nonna.

Non mi è tanto chiaro. Inizio pensando che ha una nonna anziana anche lei qui a Napoli e riportarla a casa in un lungo viaggio sarebbe un problema. Poi capisco che “nonna” è la signora napoletana che accudisce.

Una piccola cosa di questo pranzo però ve la devo raccontare.

In Olanda, quando ci abitavo, non avevo voluto assaggiare, glielo dissi al mio amico pizzaiolo di Torre:

Vince’ mi dispiace, però tu mi puoi capire: la pizza con l’ananas, “Hawaii”, per motivi “religiosi”, non la posso assaggiare, un napoletano, se lo fa secondo me poi rischia di andare all’inferno.

Qui invece non ha lo stesso senso, qui l’ananas non è sulla pizza, e poi mi trovo nella terra che l’ha pensata quella ricetta, non l’ha creata un giorno che gli è caduto un barattolo di frutta sulla pizza per caso. E allora eccomi l’ananas con il peperoncino fortissimo nel piatto.

Il primo boccone è dissonanza pura.

Poi il piccante spazza via tutto e per la prima volta è un aiuto.

Dopo un po’ ci ho fatto quasi il palato, però alternando quella cosa stranissima con bocconi di riso.

Alla fine devo chiedere il dolce, sta nel frigo, l’ho visto.

Piccole vaschette tonde di alluminio con dentro una pasta color nocciola.

Sono fatte con una specie di miele che si ottiene dal fiore di palma, zucchero, uovo, sopra si mette granella di anacardi.

Lo assaggio fiducioso.

Non ha un sapore molto deciso, suona una nota sola molto lieve, o è il rumore forte che hanno subito le mie papille gustative fino a poco fa che le ha rese sorde.

Esco dal ristorante, inizia a piovere, una pioggia sottile.

Un’ultima cosa: San Francesco De Gironimo, quello che dà il nome alla cappella nella quale siamo partiti in questo racconto ad ascoltare la messa, era un gesuita nato a Grottaglie, in Puglia, nel 1642. Quando, completata la sua formazione ecclesiastica, chiese di partire per andare nelle missioni in India gli venne risposto: “le tue Indie saranno Napoli”.

Credo sia il santo ispiratore perfetto per questa serie.

(Fine quinta parte, continua)

Testo e foto di Francesco Paolo Busco (tutti i diritti riservati)

(*) Il calendario lunare viene seguito per le ricorrenze religiose. I mesi sono quindi scanditi dalla luna piena. Per accordare calendario solare e lunare riguardo alle feste religiose buddhiste ogni due o tre anni viene aggiunto un mese. Il calendario lunare delle feste religiose musulmane invece non viene accordato. (Da “Rough Guides” dello Sri Lanka, ed. Feltrinelli).