19 marzo 2019
Tutti sanno che la zona di via San Gregorio Armeno, a
Napoli, è unica nel mondo, che ci si può trovare un’altissima
concentrazione di artigiani del presepe.
Bene,
benissimo, c’è un’altra cosa però proprio dentro l’edificio a fianco al
convento che porta il nome di quel santo, che è particolarissima,
addirittura fa scuola in Italia e in buona parte del mondo, si chiama Ex Asilo Filangieri.
Qualcuno lo conoscerà, qualcuno molto bene, altri penseranno che invece è un centro sociale occupato.
Bene, l’Asilo è una grande palestra di vita civile, di comunità e pure di diritto.
Si
trova in un edificio di proprietà del Comune di Napoli, che viene però
gestito, con esplicita approvazione comunale, dai cittadini,
direttamente e, bisogna sottolineare, non da una qualche particolare
associazione, o gruppo, o fondazione, ma semplicemente dagli abitanti,
tutti, pure se solo di passaggio, che vogliono partecipare.
Mettiamo
il caso che voleste presentare un libro, oppure produrre uno spettacolo
teatrale e vi serve un posto adatto, grande, disponibile senza pagare.
Sembra ‘na cosa un po’ fuori dal mondo, almeno da questo nostro
occidentale, e invece se ci andate un lunedì verso le sette di sera
potete proporre all’Assemblea (cioè alle persone che sono lì, come voi,
in quel momento) la vostra idea.
L’Assemblea
Noi ci siamo andati per vedere se era vero.
C’è
l’ordine del giorno proiettato sullo schermo; se non siete in
quell’elenco di proposte però magari vi fanno aggiungere anche al
momento.
Si va in ordine di prenotazione. C’è
l’interessato che parla brevemente della cosa, e gli altri che
controllano sui loro cellulari o via computer se c’è posto e quando, per
la vostra proposta. Dipende soprattutto da quanto tempo vi serve, e
quale spazio, a che ora.
Si vede subito che hanno
pochissime barriere: cercano semplicemente di fare in modo che succeda.
Ecco, l’unico controllo che fanno, o che magari vi invitano a fare voi
stessi tornando di mercoledì, quando si riuniscono i tavoli più specifici dei vari spazi (il laboratorio che costruisce – loro lo chiamano Armeria ma di armi non ce ne sono -, il Teatro, il Cinema, l’Orto, la Biblioteca, il Refettorio),
è se ci sono le possibilità concrete di realizzarlo, e se magari c’è
qualcuno a cui la vostra idea piace quanto a voi e vuole aiutarvi.
Mi
hanno raccontato che a volte da quei tavoli l’idea trova molti altri
spunti, si integra, cambia un poco, si ingrandisce e si trasforma. È
così per esempio che dalla proposta di un collettivo brasiliano di
artiste di fare una piccola fiera di editori indipendenti, piano piano,
parlandone, con l’aumentare delle connessioni, sono venuti fuori dieci giorni di eventi.
Loro la chiamano interdipendenza,
perché il loro obiettivo, o uno di quelli principali, è svincolarsi sì,
dalle dipendenze dal meccanismo economico, competitivo, egoistico, però
anche tendere a creare in collaborazione, interdipendentemente.
Anche
le decisioni, tutte, non vengono prese né da uno, né da dieci e neppure
a votazione. Questo c’ho messo un poco di tempo a capire come; poi
all’assemblea forse l’ho visto avvenire.
L’idea è
che si discute fino a che non sono tutti d’accordo. Ma non è che si
discute tutto in una volta fino allo sfinimento. Se non c’è nessun
problema particolare la risposta è sì, usuale. Se invece c’è
qualche difficoltà, o qualcuno è in disaccordo, si parla finché si
riesce, poi magari si rimanda ad un altro giorno.
Certo
per fare questo ci vuole più tempo, ma la qualità che viene fuori è
quello che qui stanno cercando. È una palestra civile, in cui non conta
il quanto, non conta neanche moltissimo esattamente il cosa, conta moltissimo per chi sta qui dentro il come si arriva al risultato finale.
Sono
venuti, negli anni, dagli Stati Uniti, dall’Olanda, dal Belgio, da
tutta Italia a vedere questo posto, a studiarlo, li hanno invitati
altrove ad esporre questo nuovo modo di gestire spazi di tutti oppure
sono venuti loro qui a prendere ispirazione.
L’Assemblea Nazionale dei Beni Comuni
Mo pensate che stiamo esagerando, amplificando soltanto. E invece proprio poche settimane fa si è tenuta qui l’Assemblea Nazionale sui Beni Comuni.
Siamo andati a vederla per cercare di annusare che aria davvero si respira, oltre le dichiarazioni.
Arrivo la domenica mattina e l’appuntamento è dentro al Teatro, al secondo piano del palazzo.
È
un ambiente accogliente, grande, ben costruito: ci sono gli spalti
sopraelevati, tutta la strumentazione audio e per le luci, il
palcoscenico in fondo con tutte le funi.
Arrivo e mi chiedono semplicemente il nome e a quale dei tre tavoli vorrei discutere: quello sul Fare Comunità, quello Legislativo o quello sulla Piattaforma digitale.
Il
motivo per il quale hanno pensato quest’assemblea è anche legato ad un
fatto giuridico. Qualcuno sta proponendo a livello nazionale un
regolamento, una legge ad iniziativa popolare, che sembra solo nel
titolo occuparsi dei posti come questo, cioè dei beni comuni.
In realtà se passasse, dicono loro, poiché dà delega al Governo (legge
delega) di occuparsi del tema senza fornire chiare indicazioni (né
condivise con quelli che negli ultimi anni hanno lavorato sul tema), su
limiti e direzione da seguire, potrebbe avere effetti addirittura
deleteri.
E allora l’idea, secondo il loro metodo,
che è la cosa più bella e più nuova, è discutere, insieme, un’altra
proposta. Ecco perché l’Assemblea. Però insieme a tutti e allora Assemblea Nazionale.
Poi
qualche giorno dopo, per cercare di capire di più, chiedo ad uno di
quelli che questo spazio lo “attraversano” (come dicono loro, perché
abitarlo dà già idea di possesso, che è quello che qui non si vuole), perché quest’Assemblea proprio a Napoli?
Mi risponde semplicemente: perché l’Asilo, questo, a Napoli, è stato il primo che è riuscito davvero a realizzare queste cose.
È da qui che è nato questo nuovo modo di pensare, cioè quest’idea di
provare, di tendere, ad avere delle dinamiche di gestione di beni
pubblici diversa, mai vista prima su questo genere di cose.
Una palestra di gestione
Poi Cesare mi racconta molto altro. A
noi non interessa, o almeno questa è la mia visione, avere uno spazio
pacificato, un posto dove tutto sembra scorrere liscio ma in realtà solo
in superficie.
A noi serve che se il
conflitto, la divergenza di opinioni, c’è, che venga fuori. Così ne
possiamo parlare, possiamo portarla, per risolverla, dentro l’Assemblea.
Addirittura
sai cosa è successo una volta? Era venuto fuori un classico caso che
noi chiamiamo ormai di “spirito proprietario”. Cioè ogni tanto può
capitare che magari qualcuno rovina qualche strumento di produzione, e
allora qualcun altro se la prende un sacco. Certo è comprensibile,
perché magari aveva contribuito quello strumento a crearlo, però non è
così che dobbiamo fare. L’idea, quello che vorremmo, se non proprio ci
riusciamo esattamente però almeno la tensione vorremmo che sia quella,
che nessuno si senta padrone dentro queste mura. Infatti non c’è neanche
nessun affidatario.
E allora quella volta,
appena l’argomento è venuto fuori, se n’è cominciato a discutere, ma
non ancora in assemblea, semplicemente nei corridoi.
E piano piano così si è risolto, in maniera ancora più informale, parlandone a piccoli gruppi tra di noi.
Dentro l’Asilo, mi dice, non
c’è neanche una divisione dei ruoli. Neppure un’attribuzione
passeggera. Certo, quando si deve realizzare qualcosa, ognuno partecipa
secondo le sue competenze, ma non creiamo gerarchie, cerchiamo solo buone collaborazioni.
Non
so se sono riuscito a spiegarvelo bene, forse è una cosa troppo nuova,
sottile e bella oppure è una cosa così semplice che per crederci davvero
bisogna vederla.
Quello che vi posso dire è che
all’assemblea nazionale c’erano oltre trecento persone dall’Italia e dal
mondo (Bogotà, Tolosa, Londra, Marsiglia, Bolzano, Parma, Terni,
Pozzuoli, Viterbo, Torino, Altamura, Spoleto, Pescara, Palermo, Pisa,
Roma, Venezia, Mondeggi, Benevento, Caserta, Lanciano, S. Vito Chietino,
Sambuca Pistoiese, Firenze…) e 43 spazi autogestiti o gruppi.
Sette anni dalla occupazione simbolica
Dal
2 marzo del 2012, quando si decise di fare un’occupazione simbolica di
questo posto che doveva durare tre giorni, sono trascorsi sette anni e
quest’Asilo a noi sembra tra le più belle invenzioni.
Qui
dentro ci sono la sperimentazione artistica, quella del modo di
decidere, di interagire, e quella legale: perché per poter gestire
questo posto in questo modo si sono inventati un nuovo istituto
giuridico, quello di bene comune ad uso civico collettivo urbano.
Ci
raccontano spessissimo di progressi materiali, tecnici. Le fanno
passare come grandi invenzioni, ma forse a noi servono progressi
evolutivi interni alle persone, più che nuovi beni ipertecnologici
materiali. Questo, come sta scritto sul cancello, è il posto della comunità dei lavoratori dello spettacolo e dei beni immateriali (che dovremmo essere tutti), l’Asilo, e a noi sembra una delle più belle scuole. Ci sembra un posto avanzatissimo, anni luce più avanti della Silicon Valley.
Questo è il loro sito, qui trovate il regolamento
sviluppato insieme alle istituzioni del Comune. Ci hanno detto che
nell’ultimo giorno in cui l’hanno scritto, a Napoli, non si riusciva più
a riconoscere, seduti ai tavoli, chi era dell’Asilo e chi della Giunta
comunale.
Sembra che all’inizio di quell’occupazione di tre giorni, sul portone avessero scritto: Arrendetevi siamo pazzi. Quelli che li assediavano si sono arresi, loro, fortunatamente per noi, non sono ancora guariti del tutto.
A San Gregorio Armeno, lo sanno tutti, c’è una cosa bellissima, patrimonio del mondo, unica. Venite!
Testo e foto Francesco Paolo Busco (tutti i diritti riservati)